Il 16 aprile 1992 a Milano si chiude il processo di primo grado per il crack del Banco Ambrosiano con 33 condanne. I giudici del Tribunale milanese accolgono le richieste del Pubblico Ministero: 19 anni sono inflitti al faccendiere Umberto Ortolani; 18 anni e sei mesi a Licio Gelli, capo della loggia P2. Subiscono condanne anche Francesco Pazienza (14 anni e 8 mesi), Bruno Tassan Din (14 anni), Giuseppe Ciarrapico ( 5 anni e 6 mesi) e numerosi altri imputati, tra i quali l’imprenditore Carlo De Benedetti. La vicenda del crack del Banco ambrosiano è tuttora coperta da un fitto velo di silenzi e misteri. Nel 1981 è certificato un ammanco di circa 1500 miliardi di lire che porta il vecchio istituto bancario cattolico, fondato nel 1896, sull’orlo del fallimento. Nel 1982 è messo in liquidazione coatta. La vicenda, che vede coinvolti Licio Gelli e Michele Sindona, si lascia dietro una scia di aspre polemiche e di risvolti drammatici. Il presidente e amministratore delegato dell’istituto, Roberto Calvi, rilasciato dopo diversi mesi di detenzione e fuggito a Londra (Inghilterra), è ritrovato morto, impiccato sotto il Blackfriars Bridge (il ponte dei Frati Neri), il 18 giugno 1982. Da allora, attraverso successive trasformazioni, l’istituto riprende il suo ruolo nel panorama bancario nazionale e nel 1998 dà vita, con la Cariplo, al gruppo Banca Intesa, diventato, dopo l’unione con la Banca Commerciale Italiana, il principale gruppo creditizio italiano.