Il 25 febbraio 1997 a Roma la Corte di Cassazione con una sentenza che toglie agli uomini uno strumento legale per evitare di far fronte alle proprie responsabilità sancisce che il rifiuto ingiustificato di sottoporsi all’esame del Dna per il riconoscimento di un figlio può rappresentare prova effettiva di paternità se “combinato” con le dichiarazioni della madre.