Il 9 maggio 1997 a Roma una studentessa di giurisprudenza, Marta Russo, è colpita da un colpo di pistola mentre si trova in un vialetto di uno dei cortili dell’Università La Sapienza di Roma. La ragazza, immediatamente trasportata al vicino Policlinico Umberto I, muore il 13 maggio. Le indagini si orientano subito sul personale dell’Università, perché la perizia balistica dimostra che il colpo è partito dalla finestra dell’edificio della segreteria. Il 12 giugno sarà arrestato il professor Bruno Romano, direttore dell’Istituto di Filosofia del diritto della facoltà di Giurisprudenza, con l’accusa di aver fatto pressioni sui testimoni affinché non rivelassero informazioni utili alle indagini. Poi, a seguito degli interrogatori a Maria Chiara Lipari e Gabriella Alletto, la segretaria dell’edificio che si rivelerà una testimone chiave, le indagini si concentreranno intorno agli assistenti universitari Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Il 15 giugno la svolta: i carabinieri arrestano Scattone e Ferraro e l’usciere Francesco Liparota, con l’accusa di omicidio e concorso in omicidio. Inizia un caso giudiziario complesso che termina, il 15 dicembre 2003, con la condanna in via definitiva dei due assistenti, che succesivamente furoo assolti. Nel maggio 2011 la XIII Sezione del Tribunale Civile di Roma, presieduta dal giudice Roberto Parziale, condanna Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro al risarcimento di un milione di euro (più di 900.000 per Scattone e circa 20.000 per Ferraro) ai familiari di Marta Russo – i genitori, Donato e Aureliana, e la sorella Tiziana – e al pagamento delle spese giudiziarie e detentive, stabilendo inoltre che La Sapienza non può essere ritenuta responsabile della morte della ragazza. Il solo Ferrar oè condannato a versare all’università 28 mila euro come risarcimento dei danni di immagine. In tale occasione, Scattone chiede pubblicamente a Gabriella Alletto di ritrattare la testimonianza, vista la prescrizione di un’eventuale calunnia. Nell’aprile 2013 la Corte di Cassazione confermò il risarcimento delle spese del giudizio e della detenzione carceraria per € 300.468 a carico di Ferraro e a favore dello Stato italiano, motivando la sentenza con le circostanze che «il soggetto non si trova in stato di indigenza» e che «l’adempimento non comporta uno squilibrio del suo bilancio tale da precludere il suo recupero e il reinserimento sociale»