Il 15 febbraio 1989, con il ritiro dell’ultimo contingente dell’Armata Rossa dopo la firma degli accordi di Ginevra (Svizzera) tra Repubblica dell’Afghanistan e Pakistan, finisce l’occupazione militare sovietica dell’Afghanistan iniziata il 24 dicembre 1979 per deporre il presidente della Repubblica Hafizullah Amin e rimpiazzarlo con Babrak Karmal. L’intervento militare dell’URSS provoca una recrudescenza della guerriglia afghana contro il regime afghano, già da tempo molto estesa nel paese: i combattenti mujaheddin, divisi in più schieramenti e partiti che mai nel corso del conflitto arrivano a una guida unitaria, intraprendono una lunga campagna di guerriglia a danno delle forze sovietico-afghane, spalleggiati in questo senso dagli armamenti, dai rifornimenti e dall’appoggio logistico fornito loro (in modo non ufficiale) da nazioni come gli Stati Uniti, il Pakistan, l’Iran, l’Arabia Saudita, la Cina e il Regno Unito. Dopo più di nove anni di guerra, che provocano vaste distruzioni all’Afghanistan nonché ampie perdite di vite civili, l’intervento sovietico nel conflitto termina con una ritirata generale delle proprie truppe. Gli scontri tra mujaheddin e truppe governative proseguono nell’ambito della guerra civile afghana, fino alla caduta del governo della Repubblica afghana il 17 aprile 1992.